Rubrica Slow Food: la percoca di Sant’Arcangelo, biodiversità da salvaguardare
«Promuovere il diritto al piacere, difendere la centralità del cibo e il suo giusto valore»: questa la mission di Slow Food. È sulla base di tale obbiettivo che la condotta locale Slow Food Magna Grecia Metapontum inaugura una rubrica settimanale, un viaggio tra il cibo, la tradizione e la cultura lucana, seguendo il filo rosso della nostra storia.
Nel terzo appuntamento: la percoca di Sant'Arcangelo.
INTRODUZIONE
La percoca di Sant’Arcangelo, comune di 6400 abitanti in provincia di Potenza, 388 m s.l.m., è un frutto antico che trascina con sé una storia ormai centenaria, risultato di aneddoti e vita quotidiana, tradizioni contadine e racconti di lavoro. Un frutto che nell’arco degli ultimi quarant’anni ha attraversato una lenta, quanto inarrestabile, fase di declino; un abbandono che potremmo definire programmatico per via dell’affermazione della frutticoltura moderna. Tale processo passa, però, per alcuni step che sbaglieremmo a considerare come automatici, e che sono entrati a far parte tanto dei modelli di produzione quanto di quelli di consumo.
BIODIVERSITA’ IN PERICOLO
Ma procediamo con ordine. Oggigiorno, gli alimenti che portiamo sulle nostre tavole sono sempre più spesso di origine industriale, e dunque sempre meno naturali, perché soggetti a determinati standard imposti dal mercato. Quello stesso mercato che si flette sulle spinte di una modernità che non lascia spazio ai prodotti di nicchia e alle varietà locali, abbandonando dietro di sé i brandelli di una società contadina rea di non aver rinunciato alla propria identità e alla propria storia, indissolubilmente legata alla storia dei frutti della propria terra. Una modernità che si declina in mero profitto per le sole grandi multinazionali padrone del mercato, le quali non si preoccupano di sacrificare la biodiversità sull’altare del rendimento. Una modernità che cresce sulle spalle di consumatori inconsapevoli; consumatori di frutta bella da vedere, poco importa se completamente insapore. Sullo sfondo le tanto declamate strategie di marketing attraverso le quali si punta alla uniformità della produzione, a ciò equivale la riduzione della biodiversità. Il risultato ultimo è il produttore agricolo rassegnato a coltivare ciò che il mercato richiede, sotto la minaccia che, in caso contrario, il frutto potrebbe marcire sull’albero.
LA PERCOCA DI SANT’ARCANGELO
Questo è un pezzo della storia della percoca di Sant’Arcangelo, la pesca a polpa gialla, che cresce nella piana alluvionale del fiume Agri, nell’Eden terreno dei Giardini di Sant’Arcangelo, cinquecento ettari di meraviglia candidati, tra l’altro, nel registro nazionale dei Paesaggi Rurali Storici del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, su proposta dell’Università della Basilicata. Una vera e propria nicchia ecologica che conferisce al frutto elementi di soggettività non ritrovabili altrove.
Di questa coltura, di cui restano appena cinquanta piante autoctone, per una produzione che si aggira intorno alle due tonnellate, si distinguono due varietà, entrambe caratterizzate da una pezzatura media: la sanguinella a maturazione precoce (20 luglio-15 agosto) e la percoca col pizzo a maturazione tardiva (15 agosto-15 settembre) caratterizzata da un bel colore giallo-aranciato in prossimità del pizzo.
La produzione totale è utilizzata principalmente per il consumo fresco, ma il prezzo di vendita è sostanzialmente basso anche per la mancanza di una politica di valorizzazione. Il frutto si adatterebbe, inoltre, alla produzione di confetture, per la quale si potrebbe pensare di coinvolgere l’Istituto Professionale per l’Agricoltura di Sant’Arcangelo. Ma l’utilizzo più citato è sicuramente quello all’interno della sangria, a cui si ricorreva una volta per correggere il vino ormai adulterato di luglio attraverso la generosa immersione di pesche fatte a pezzetti.
Si attende, intanto, la verifica delle condizioni e il conseguente avvio della procedura per il riconoscimento della percoca di Sant’Arcangelo quale presidio Slow Food. Salvare questa prelibata drupa dal declino al quale è soggetta significherebbe salvare un pezzo di biodiversità, un patrimonio non solo genetico, ma uno spiraglio economico, sociale e culturale di straordinario valore.
Simona Pellegrini