Possono perchè credono di potere - di Ilenia Litturi

Catozzella_ALVEARE_fotoGiuseppe Catozzella è un milanese dal sangue lucano, materano per la precisione, nato nel 1976 ma “il sangue non è acqua” dicono dalle mie parti. Nel 2008 ha pubblicato Espianti (Transeuropa), collabora con “L’Espresso” ed è tra i curatori del portale Milanomafia.org. Lo scorso anno ha vinto il Premio Gavinelli, assegnato dall’Ordine dei Giornalisti.

 


Fresca di stampa la sua ultima fatica letteraria “Alveare” edita da Rizzoli, un romanzo-inchiesta in cui viene minuziosamente approfondito, delineato e sezionato il potere che fagocita tutto e che sta dilaniando un mondo in cui la parola indignazione viene relegata e messa a tacere. Una fotografia nitida, cruda e veritiera del nostro Paese, ma il cambiamento non può essere soltanto un’aspirazione, c’è un inorgoglirsi che cresce nell’ombra di un credo e si nutre di speranza perché bisogna preservare il proprio punto di vista. Le api lo sanno, dove c’è il dolce c’è inevitabilmente l’amaro, ma è proprio questo il senso della vita perché alla fine, come diceva Marco Aurelio un bel po’ di secoli fa: “Ciò che non giova all'alveare, non giova neppure all'ape”.


Cos’è cambiato nella sua vita? Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?

Nella mia vita per adesso non è cambiato assolutamente niente. Continuo a fare il mio lavoro come prima. Ho voluto scrivere questo libro mosso dalla pulsione di raccontare ciò che ho visto con i miei occhi e che non è mai stato raccontato prima.

Alveare: un titolo pungente. Perché?

La metafora dell’alveare è perfetta per alludere a un impero, quello della ‘ndrangheta al nord, in Lombardia, che si è sviluppato in silenzio ed è arrivato a pervadere tutti i settori dell’economia e della società come un alveare che è stato lasciato crescere indisturbato.

Cosa rappresenta la copertina?

In copertina c’è una bellissima illustrazione della Torre Velasca di Milano, simbolo per anni del boom economico italiano. Un boom che ha celato in sé una parte marcia e corrotta che fatica a venire fuori.

In occasione del 150°anniversario dell’unificazione, l’Italia è più unita o divisa?

È di certo più unita di 150 anni fa, anche se non ha ancora sviluppato una identità precisa, lavorata sull’appartenenza a una bandiera. Il concetto di unità nazionale dovrebbe essere coltivato su quello di legalità. Prima apprezzare e condividere la Costituzione italiana e decidere di applicare le sue leggi da parte di tutti, poi coltivare di conseguenza in sé il sentimento di nazione.

Ha avuto la fortuna di crescere al nord con valori del sud. In che cosa si sente lucano?

Nell’onestà e nell’umiltà tipiche della natura lucana. Nel lavorare a testa bassa partendo da nessuna raccomandazione o conoscenza, sapendo di volere e dover fare il mio dovere.

È un’ingenuità credere che le mafie siano solo un problema del sud. Hanno tentacoli al nord e all’estero. Cos’è successo?

È successo che le abbiamo lasciate crescere, proprio come un alveare, nel seno del nostro paese. Lo stato italiano non ha mai voluto davvero affrontare il problema, come ha fatto invece per esempio con il terrorismo.

Immagino abbia avuto modo di seguire da vicino, leggere e consultare atti giudiziari e non solo. Qual è il personaggio o l’episodio che non può dimenticare?

L’omicidio a cui sono stato presente, avvenuto a Bresso, in provincia di Milano, quando avevo 14 anni. È stato il primo episodio di una faida durata 3 mesi che ha portato alla morte di 25 persone, per il predominio del mercato dell’eroina nella zona nord di Milano.

Cosa significa ‘ndrangheta oggi?

‘Ndrangheta oggi significa la criminalità organizzata più potente d’Italia e una delle più potenti del mondo che ha preso possesso di intere aree del Paese al Sud come al Nord, generando capitali e controllando intere zone nel silenzio totale, senza un intervento adeguato e con una struttura normativa e di azione di polizia giudiziaria inadeguata a sopraffarla.

‘Ndranghetisti si nasce o si diventa?

‘Ndranghetisti nella maggior parte dei casi si nasce, perché il legame di affiliazione è un legame di sangue. In alcuni casi però si può lavorare da affiliati anche “esternamente” a una ‘ndrina, come prestatori di opere criminali.

Cosa hanno in comune le mafie?

La volontà di generare capitali in maniera illecita e quella di dominare un territorio, di tenerlo in stato di sopraffazione, per sospendere il diritto e instaurare la legge del più forte.

Nel panorama delle mafie, dove si colloca la Basilicata?

La Basilicata è sempre rimasta immune dalla costituzione di una forte struttura criminale di stampo mafioso. È sempre però stata vittima delle mafie limitrofe, soprattutto della ‘ndrangheta.

Tutto ciò che va contro il profitto e il business è nemico delle mafie. Stato―antistato è un’idea vecchia. Cosa dovrebbe fare a questo punto lo Stato? Devono cambiare le regole dell’economia?

Lo Stato dovrebbe seriamente mettere al primo posto dei programmi di governo di qualsivoglia maggioranza parlamentare la volontà di sconfiggere la mafia. Ma il problema è proprio che una tale mossa pare a oggi impossibile perché la mafia senza lo Stato non esisterebbe, poiché sono due entità che si alimentano a vicenda. La vera “rivoluzione” può partire solo dalle giovani generazioni, come già dicevano Falcone e Borsellino, le uniche ancora “vergini” e non cresciute nell’humus di collusione tra affari e mafia, Stato e mafia.

Falcone diceva che “La mafia è un fenomeno umano e come tutte le cose umane ha un inizio e una fine.” Secondo il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gratteri “L’ ‘ndrangheta finirà quando finirà l’uomo è però possibile arginarla”. Secondo lei, quando si potrà dire fine?

A me piace la frase di Paolo Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.

Chi è immune alle mafie?

Chi ha il coraggio di informarsi e di voler vedere dove le mafie sempre più nascostamente lavorano sottotraccia. Chi denuncia. Chi parla e racconta ciò che sa.

Di cosa non bisogna avere paura?

Di raccontare ciò che si conosce. Gli italiani onesti sono molto più dei disonesti. Basta pensare questo per non aver paura di niente.

Ennio Flaiano scriveva che “Chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la realtà”. Qual è il suo sogno?

Sogno un’Italia finalmente onesta e più libera dalla corruzione. Ho vissuto a lungo all’estero, in Paesi civicamente più avanzati del nostro, dove il rispetto per l’altro equivale all’utile per se stessi. So che si può fare. E non è un sogno astratto. È lo stesso che sognare di avere un lavoro qui da noi, senza dover per forza emigrare, o accettare di lavorare senza contratti e per pochi euro l’ora. Perché mafia e corruzione inquinano l’economia e sono il contrario del merito e dell’impegno: sono il regno del vantaggio e dell’affiliazione servile.

Nel mondo precario dell’editoria cosa consiglia a chi vuole seguire le sue orme?

Di scrivere ciò che più preme, di seguire le pulsioni vere, senza badare a ciò che viene detto o consigliato. E poi di provarci e riprovarci.

Grazie e in bocca al lupo.

Crepi e grazie a lei.

Ilenia Litturi

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