Nient'altro che la verità -di Ilenia Litturi-

“Giovanni Passannante: la vita, l’attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia “regale” e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l’incantesimo monarchico” è un libro intenso scritto da Giuseppe Galzerano, che si contraddistingue per il coraggio che contraddistingueva i pionieri e gli storici del passato. Costruire dove regnava il niente, non è da tutti. Molto è stato scritto, speculato ed adombrato; non è forse un caso che la voce “Giovanni Passannante” sia recentemente entrata in una delle più prestigiose istituzioni del Paese, l’enciclopedia Treccani.

Come nasce l’idea di una casa editrice “alternativa” come la sua?

Non lo so, anche perché la nascita della casa editrice è avvenuta molti anni fa, nel 1975, ma già nel 1970 avevo cominciato a pubblicare libri. Nel ’75 ero uno studente-lavoratore di 22 anni, avevo lavorato come bracciante presso un agrario che mi aveva licenziato perché avevo “sobillato” le operaie a ribellarsi allo sfruttamento. Lo denunziai e lo portai in tribunale, ma volle accordarsi: mi offrì trecentomila lire, così stampai il mio primo libro come editore (era un testo su Carlo Pisacane) e da allora ho continuato a pubblicare libri, sempre con indipendenza e a testa alta. Avvertivo il bisogno di pubblicare le storie che conoscevo e ripubblicare alcuni rari ed introvabili libri dei quali ero venuto in possesso, tramite un libraio lucano, un certo Giuseppe Popolizio, originario di Irsina, emigrato e residente negli Stati Uniti d’America. Avevo fatto delle proposte a delle case editrice, ma non le avevano accettate e per pubblicare i libri che mi appassionavano fondai la casa editrice. Per mantenerla in piedi libera e indipendente -da studente- ho fatto diversi lavori, come il bracciante, il marmista, il cameriere … Adesso sono docente di materie letterarie, ho pubblicato quasi trecento titoli, ma le difficoltà non sono state superate, anche se faccio tutto da solo.

Come ha conosciuto la figura di Passannante?

Me ne parlò, per la prima volta, un suo lontano discendente, in occasione di un processo politico, svoltosi nel 1975 a Vallo della Lucania, che io seguivo come giornalista. Dopo molti anni iniziai le ricerche, che ho svolto principalmente all’Archivio di Stato di Napoli e in molti altri archivi, alcuni anche esteri e in molte biblioteche italiane e straniere.

Cosa l’ha colpita in particolare della storia?

Gli episodi della vita e della vicenda umana, politica, culturale e giudiziaria del cuoco lucano che colpiscono sono davvero tantissimi, tutti di grande interesse e offrono spunti anche per l’attualità. C’è l’abnegazione, il disinteresse, la dignità, la coerenza, il coraggio, la sofferenza e la ribellione, l’aspirazione ad una società migliore, che Giovanni Passannante racchiudeva nella concezione della “repubblica universale”.

Secondo lei perché Giovanni ha dovuto pagare uno scotto così pesante?

Non è assolutamente pensabile non dover pagare e pesantemente un gesto come quello di Passannante, che – è bene ricordarlo – a Napoli il 17 novembre del 1878 non fece una passeggiata, ma attentò da solo alla vita di Umberto I, re d’Italia. I re non hanno mai perdonato i gesti di ribellione, ma non hanno neanche mai sognato di perdonare gli attentati alla loro vita e al loro potere.

Quale episodio particolare dell’intera vicenda l’ha incuriosita?

Ho manifestato curiosità per ogni fatto e avvenimento e laddove mi è stato possibile li ho sempre approfonditi, offrendo – attraverso i documenti  faticosamente scoperti - molte altre notizie spesso inedite, frutto di attente ricerche archivistiche e giornalistiche, perché il libro è costruito non solo sui documenti d’archivio ma anche sulla stampa del tempo e spesso riporto integralmente articoli ed analisi ripresi da testate introvabili dell’Ottocento, che si trovano solo in particolari biblioteche.

C’è un qualcosa su cui vorrebbe mettere luce?

Mi perdoni, ma nelle 864 pagine del mio volume credo di aver illuminato e ampiamente documentato tutti, o quasi tutti gli aspetti della vicenda. C’è da dire che anche dopo aver pubblicato la seconda edizione la ricerca è continuata ed ho trovato altre notizie, che comunque ritengo interessanti e che spero di utilizzare nella terza edizione.

Se dovesse raccontare a chi non conosce la vita di Giovanni, cosa direbbe?

Che Passannante fu un uomo coraggioso e coerente, che si è sacrificato per un’Italia diversa e repubblicana. Che non si è mai pentito del suo gesto, che non ha cambiato idee. Un uomo d’altri tempi e di altra tempra.

Che figura è stata Umberto I di Savoia?

Non le nascondo di non aver nessuna simpatia per i re, anzi di detestare profondamente la concezione monarchica. Trovo che Umberto I, come i suoi predecessori e i suoi successori, lasciava molto a desiderare come re e come uomo. Perseguiva una politica autoritaria e antipopolare, tant’è sulla stampa anarchica pubblicata all’estero a ragione veniva definito “re mitraglia” per le cannonate ad alzo zero fatte sparare, per suo ordine, a Milano nel 1898 da Bava Beccaris dall’esercito sulla folla che reclamava pane e lavoro.

Non bisogna aver vergogna di parlare, bisogna vergognarsi di tacere. Conservare è una responsabilità. Cosa ne pensa in merito?

Condivido il suo pensiero, non ho mai taciuto, né -mi auguro- di tacere. Non so cosa voglia dire: “Conservare è una responsabilità”. Direi che raccontare la storia è una responsabilità e bisogna farlo con verità, senza ignorare o nascondere i documenti che nel corso della ricerca si trovano. Dunque potrei dire: conservare la memoria è una responsabilità e un dovere, perché ci vogliono far perdere la memoria e le radici per annullare la nostra identità.

Finora cosa le ha dato maggiore soddisfazione?

Sono contento e soddisfatto di tutte o di quasi tutte le cose che ho fatto.

Cosa ne pensa della trasposizione cinematografica di Sergio Colabona?

In verità non ho ancora avuto occasione di vedere il film a cui fa riferimento, ma persone che lo hanno visto mi hanno detto che lascia alquanto a desiderare. Aspetto di vederlo per farmene un’idea, ma non le nascondo che temo che sia stata fatta un’indegna speculazione economica sulla bella figura di Giovanni Passannante. Mi era stata promessa una copia, ma credo che non l’abbiano più mandata, anche perché la trasposizione è stata ricavata dal mio volume senza che abbiano citato neanche le mie iniziali! Nel nostro paese c’è qualcosa che attiene ai diritti d’autore, che in questo caso non sono stati affatto rispettati, ma li hanno calpestati e l’autore del libro non è stato neanche avvertito da una mezza telefonata ... Una gravissima scorrettezza sul piano professionale, civico, culturale e sociale, del quale i responsabili dovranno rispondere, perché devo tutelare il mio lavoro e le mie ricerche. D’altronde mi pare che il signor Colabona viene dal “Grande fratello”, ma anche Ulderico Pesce dovrà rispondere di quest’appropriazione piratesca e indebita e naturalmente insieme con loro quanti altri hanno responsabilità in quest’operazione. Devo anche aggiungere che Ulderico Pesce ha portato avanti un’indegna campagna per seppellire e nascondere la terribile e barbara storia della decapitazione di Giovanni Passannante.

“La passione tinge dei propri colori tutto ciò che tocca”, scrisse Baltasar Gracían. Quale eredità lascia Giovanni?

Le mie cose le ho fatte sempre e solo con passione e si evince fortemente dalle mie ricerche storiche, che riguardano anche altri attentatori come Gaetano Bresci, Angelo Sbardellotto e Michele Schirru, oltre a Paolo Lega e su quest’ultimo spero di pubblicare il mio volume entro la fine dell’anno. Giovanni Passannante non ha lasciato nessuna eredità, perché fu sepolto in carcere. Però ciò nonostante potrei dire che la vita di Passannante lascia all’umanità l’eredità e il messaggio della lotta.

Se lei fosse un cittadino di Savoia di Lucania, vorrebbe mantenere il nome o vorrebbe che il suo paese tornasse a chiamarsi Salvia?

Fin dalla prima edizione mi sono espresso e battuto perché Savoia di Lucania ritornasse a denominarsi Salvia, com’era denominata prima che il sindaco di allora – ubbidendo ciecamente alle richieste della corte – mutasse, per un atto di squallido servilismo monarchico, il nome al suo paese, annullando una storia di comunità più che millenaria. Ho ribadito la mia posizione nella seconda edizione, ma devo ricordare che questa opinione l’ho espressa anche prima dell’edizione del mio libro, con lettere al Comune di Savoia di Lucania e alla stampa che risalgono al 1978. Questo per dire che la mia battaglia per la dignità municipale di Salvia viene da anni lontano.

Ilenia Litturi

 

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