In bici per raccontare il patrimonio Unesco Italiano

Cominciamo dando un po’ di numeri: centotto giorni, un gruppo di amici non ancora trentenni, su due e quattro ruote alla scoperta dei quarantaquattro siti UNESCO del Belpaese, fanno da sfondo a quest’incredibile avventura dal sapore pionieristico. Un’impresa mica da tutti, ma come ricorda Demostene le «grandi imprese nascono da piccole opportunità». Siamo andati ad intervistare la mente ideatrice del progetto.

Chi è Alessandro Cristofoletti?

Sono sempre stato attratto dalle attività che permettono l’introspezione, che facilitano una maggiore conoscenza di se stessi attraverso il superamento di difficoltà e rischi, come l’arrampicata che pratico fin da piccolo. Anche lo studio lo considero tale per certi aspetti, ma solo se viene messo alla prova.


Domanda doverosa: com’è nata l’idea di un’impresa come UNESCO in bici?

Nella primavera del 2009 dopo la laurea triennale in Beni Culturali, non si intravedeva nessun possibile sbocco anche se devo ammettere però che vengo da uno dei luoghi più fortunati d’Italia: la Provincia Autonoma di Trento. Decisi di tentare una via più avventurosa e originale che avrebbe sicuramente comportato maggiori rischi. Iniziai a girare e comporre colonne sonore di videoclip e un documentario su un’impresa ciclistica estrema, che mi avvicinò all’idea di un grande viaggio in bicicletta. Ma dove? E con che mezzi realizzarlo? Nel giugno del 2009 le Dolomiti entrarono a fare parte del Patrimonio dell’UNESCO ed ecco fatto, avrei unito tutte le mie più grandi passioni per realizzare quello che sarebbe stato il primo attraversamento del patrimonio UNESCO italiano in bicicletta. Così è nato “UNESCO in bici”, che può essere rivissuto sul sito www.unescoinbici.it.


Quali sono stati gli ostacoli più difficili da superare?

A Caserta ad esempio, non avevamo potuto fare le riprese alla reggia per i ritardi nella consegna delle liberatorie necessarie. Nei giorni precedenti al nostro arrivo a Matera ci eravamo attardati a Roscigno vecchia, un paesino disabitato dal 1909 nel centro del parco del Cilento. Eravamo stati lì un giorno in più del previsto per trascorrere in un clima di pace e di tranquillità il ferragosto. A quel punto del viaggio, dopo due mesi e mezzo di peregrinazioni, iniziavamo a sentire la stanchezza di quel lavoro che allungava a dismisura le nostre giornate e che ci costringeva a orari pressanti.


Cosa ti ha lasciato quest’esperienza?

Mi ha arricchito enormemente, sia sul piano prettamente tecnico, che su quello umano. Voglio ricordare che il viaggio è alla fine solo la fase centrale del progetto. La prima è stata quando da una semplice idea si è passati alla fase raccolta fondi e l’ultima è quella della rielaborazione di tutto il materiale accumulato in tre mesi e mezzo di fatiche, momento in cui ho potuto imparare molto da me stesso e da ciò che stavo facendo.


Che ricordi hai di Matera?

Il 16 agosto abbiamo raggiunto Matera dopo con una tappa di 170 km, ma la sera prima avevamo fatto un po’ di bagordi e non riuscimmo a partire prima del primo pomeriggio. La vista alla città dei sassi fu purtroppo, piuttosto breve. Incontrammo Francesco Rosmarino, del comune, che ci accompagnò negli ipogei e poi ancora sull’altro versante del torrente Gravina e ci riassunse la storia e l’evoluzione della città e dei sassi, della loro dismissione imposta dal governo per questioni igieniche durante il dopoguerra e della povertà che affliggeva i ceti che vi risiedevano un tempo.


Era la prima volta che venivi in Basilicata?

La mia prima, e finora unica. Conto di ritornarci quanto prima perché mi ha lasciato l’acquolina in bocca. Sarebbe una bella occasione anche per conoscere il ragazzo che ha realizzato lo splendido logo dell’iniziativa. Amico di amici, non ci siamo mai visti di persona che guarda caso è proprio di Matera. Non siamo riusciti a incontrarci durante il nostro viaggio visti i tempi molto stretti. Conto di poterlo andare a trovare quanto prima.

A tuo parere, cosa dovrebbe essere fatto per  il turismo in Italia?

L’Italia ha un’enorme potenzialità che viene sfruttata parzialmente, o quasi per nulla. L’idea che mi sono fatto attraversando l’intero Patrimonio UNESCO italiano è che il nostro Paese non ha la necessaria maturità per gestire in modo adeguato quanto possiede. Siamo fermi in un settore dove, come diceva Milena Gabanelli a Report «non dovremmo temere concorrenza», poiché l’Italia ha ciò che tutti gli altri Paesi non hanno. Non a caso siamo il primo Paese al mondo per numero di siti Patrimonio dell’Umanità. C’è una forte domanda e posso aggiungere che avendo frequentato i campeggi vicini ai singoli siti UNESCO, per tre mesi e mezzo, abbiamo conosciuto centinaia di turisti stranieri che pianificano le loro vacanze con la lista UNESCO in mano.


Walter Bonatti disse una volta che «chi più alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna». Cosa ne pensi?

Leggendo i suoi racconti di scalate ai limiti dell’impossibile, i reportage dalle foreste tropicali o le traversate di deserti e ghiacciai sconfinati, mi ha colpito la sua carica umana, il suo personale punto di vista sulle cose incontrate. Mi sono fatto l’idea di un uomo profondamente innamorato del mondo e dei limiti umani che si possono esplorare. La frase che hai citato contiene la parola sognare. Il sogno che vedo in Bonatti, e in cui parzialmente mi riconosco anch’io è alla fine di un percorso di conoscenza; un lungo e tortuoso cammino attraverso il quale, salendo in alto, si vede più lontano. Il sogno che posso avere alla soglia dei trent’anni, può essere della stessa natura di quando ho fatto la mia prima arrampicata, quando di anni ne avevo dieci. La differenza è che nel frattempo ho appreso una quantità di cose che mi hanno permesso di alzare l’asticella, non tanto della qualità dei sogni, ma delle cose da sognare. Questo per dire che sognatori si nasce. Sognare da piccoli è facile, non comprende alcuno sforzo. Crescendo, poi, si combatte con un mondo che mal sopporta questi sogni, si soffre e ci si agita per non dovervi rinunciare, si devono acquisire certe competenze pratiche per realizzarli e difficilmente ci si accontenta di poco. Tutto questo però ha una contropartita inestimabile. I nostri sogni ci rendono unici; non più delle macchine sostituibili da altre macchine facenti le funzioni di padri, mariti, operai, o impiegati, ma degli esseri umani con pregi e difetti che nessun altro possiede. Questo permette di sentirsi liberi, e se posso finire con una citazione di Pavese. Può sembrare contraddittorio, non lo nego, ma io condivido entrambe le espressioni, poiché penso siano due facce della stessa medaglia «È bello svegliarsi e non farsi illusioni. Ci si sente liberi e responsabili. Una forza tremenda è in noi, la libertà. Si può toccare l'innocenza. Si è disposti a soffrire».


Progetti futuri?

Progetti tanti, ma come al solito bisogna fare i conti con i soldi. Sto cercando di ricavarmi il mio spazio in iniziative analoghe, anche se con i tempi che corrono non è facile. Vorrei alzare l’asticella. “UNESCO in bici” mi ha fatto patire le pene dell’inferno, ma non rimpiango un solo minuto trascorso sul progetto e anzi sento la mancanza di quegli stimoli che ha saputo darmi. Vorrei poter portare questo approccio fuori dai confini italiani, magari in Europa, senza per forza usare le biciclette, ma altri mezzi sostenibili, integrando il tutto con le nuove tecnologie. Per fare questo bisogna fare un salto di qualità. Ho affrontato UNESCO in bici come lo affronterebbe un professionista, ora devo diventarlo veramente.


Ilenia Litturi

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