Il mio nome è 174517 porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro

FOTO HOME CAMPO CONCENTRAMENTOIl 27 gennaio del 1945 l’esercito sovietico apre i cancelli del campo di sterminio di Aushwitz e si trova di fronte ad uno spettacolo impressionante.Diecimila esseri umani ridotti a larve rinsecchite dalla fame, dalla fatica, dalla sofferenza, dalle temperature rigidissime della Polonia, che spesso scendevano al di sotto dei 25 gradi, vagano come fantasmi con lo sguardo rivolto verso il vuoto. Spettri sopravvissuti a se stessi, che avevano subito ogni tipo inimmaginabile di sevizie e di brutalità prima di passare dalle camere a gas e poi attraverso dalle ciminiere dei forni crematori sprigionando un odore acre che toccava lo stomaco. Non senza che i loro cadaveri venissero ancora una volta profanati da mani che cercavano nei loro orifici più intimi oggetti e denti di oro da estrarre.
Alla fine della guerra ben 11 milioni di esseri umani erano stati barbaramente sterminati nei tantissimi campi di concentramento sparsi in Europa, fra cui quello della Risiera di San Sabba, a Trieste, unico campo di sterminio in territorio italiano, in cui operavano nazisti e fascisti italiani accomunati dalla stessa infamia. Fra questi circa 6 milioni erano ebrei. Gli altri 5 milioni erano disabili, oppositori politici, omosessuali, zingari, testimoni di Geova, criminali comuni.
Una tragedia immane. L’inferno sulla terra!
Ma diamo la parola a Primo Levi, uno dei sopravvissuti di Auschwitz.
«Haeftling: ho imparato che io sono uno Haeftling. Il mio nome è 174 517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio “A molti, individui o popoli,- dice Primo - può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.’ . . . sinistro.
‘Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso.’. . .‘Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga. ‘E infine, si sa che sono qui di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno.’ . . .
‘Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi, a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo.’ (P. Levi, Se questo è un uomo)
Pino Gallo

Elisa Springer, Viennese di nascita,vissuta a Manduria dove è morta nel 2004foto home E. Springer

Ma leggiamo anche la testimonianza di un’altra ebrea deportata nel famigerato campo di Auschwitz. Quella di Elisa Springer, morta a Manduria nel 2004, dove viveva da 50 anni. Pesava 28 chili all’arrivo dei soldati russi. Ci racconta le prime demolizioni che i carnefici riservavano a tutti i deportati appena giunti nel campo.
… Costrette a spogliarci completamente nude,  davanti ad alcune SS e alle guardiane armate di bastoni, donne dal viso cattivo e prive di qualsiasi sentimento, fummo poi fatte sdraiare su dei lettini, come quelli in dotazione ai medici, e fummo completamente rasate in tutte le parti del corpo. A questa mansione, erano addetti alcuni detenuti in camice bianco, che fungevano da barbieri. Da quegli uomini non udimmo neanche una parola, ma dal loro silenzio intuimmo che           “dovevano” farlo. In ultimo tentativo di difendermi da tanta violenza fisica e morale, serrai le gambe, cercando di coprirmi il seno con le braccia. Un nazista mi colpì con la canna del fucile e brutalmente gridò «Spalanca le gambe e fatti rasare! ». In quel momento persi tutta la mia dignità e il mio pudore. (…) –

L'ultima tappa dell'ingresso era la registrazione e la marchiatura del numero di matricola sull' avambraccio sinistro. Per Elisa Springer era A24020.

“Trascorsi la mia detenzione nel settore B di Auschwitz Birkenau) e precisamente nella baracca I2... Costruita in legno, lunga circa ottanta metri, senza finestre e con due entrate: una posteriore e una anteriore. In mezzo una stufa di mattoni rossi con un camino alto che io non ho mai visto funzionare nemmeno quando la temperatura esterna scendeva a più di venticinque gradi sotto zero.

Alle pareti erano appoggiati dei tavolacci a castello su tre piani separati uno dall'altro da un metro di altezza, sicché non si poteva mai rimanere seduti con la schiena diritta, ma ci si doveva curvare assumendo la posizione degli animali rintanati nelle loro cucce. Fummo costrette a dormire in dodici su quei tavolacci larghi due metri e lunghi uno, sdraiate su un fianco e immobilizzate, perché la mancanza di spazio impediva ogni movimento...

In questa terribile situazione cercai di sistemarmi al meglio e occupai un posto all' ultimo piano riuscendo a collocarmi sul margine esterno del tavolaccio in maniera tale da avere più aria. Rimanevo in quella posizione tutta la notte in un dormiveglia da incubo durante il quale la realtà perdeva i suoi contorni per confondersi con i ricordi del passato e con l'angoscia del presente”. Elisa Springer, Il silenzio dei vivi.

Pino Gallo


Se questo è un uomo
foto home Primo Levi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

 

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