IL CULTO DI SAN ROCCO organizzato dai latori di San Rocco di Montescaglioso di Pietro Andrisani
Relazione del 18 aprile 2015 al Convegno
Un saluto ai presenti. Complimenti al gruppo dei latori montesi di San Rocco di Montescaglioso per la loro eleganza espressa recando a spalla la statua in lega d’argento del taumaturgo di Montpellier, durante la processione di San Gennaro. La compostezza nell’incedere, il buon gusto dei vestiti alla moda da loro indossati, sono stati principalmente apprezzati dal cardinale Crescenzio Sepe, dall’Abate del Tesoro, Don Vincenzo De Gregorio e dal duca di Andria, Riccardo Carafa, presidente della Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro.
Diversamente, i latori di San Rocco di Napoli vestivano abiti da pescatori rispettando una secolaretradizione che ricordava la prima Real Confraternita napoletana operante sotto il titolo di San Rocco: il sodalizio era nato nel 1350, per merito di un gruppo di pescatori ideoti, ossia, gente analfabeta. La Confraternita ebbe sede nel convento di San Sebastiano sulla Riviera di Chiaia con il quale quei pescatori già godevano dello Juspescandi cioè, il diritto di pesca nel mare prospiciente al convento. La speciale prerogativa era stata accordata fin dall’epoca ducale e, nel ‘300, rinnovata dai sovrani angioini Carlo II e Roberto il Saggio, rispettivamente padre e fratello di Beatrice del Balzo, contessa di Montescaglioso. (anche un nipote di Beatrice, Roberto d’Angiò, principe di Taranto e conte di Matera, verso il 1346, concede lo juspescandi e una barca ai Benedettini di Montescaglioso, forse su richiesta di suo cognato Francesco, II conte del Balzo del paese lucano). Fin dal ‘300 i Napoletani, oltre al vivo ricordo di quei pescatori antesignani, fedeli alle proprie consuetudini devozionali, hanno conservato una profonda venerazione per San Rocco prodigioso, dimostrandola anche con una innovata presenza iconografica e tangibili realtà. Ad ogni miracolo per salvarlo dall’epidemia di turno il generoso popolo napoletano gli ha intitolato vie, vicoli, piazze, casali, rioni. Finalmente, nel 1856, lo ha eletto compatrono della Città con una solenne cerimonia religiosa allietata con musiche festive eseguite dal coro e dall’orchestra del Duomo diretti dal Maestro di Cappella, Gennaro Parisi; gli ha dato onorato albergo nello sfolgorante Panteon gennareo.
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Questo tempio, incantevole gioiello d’arte, viene direttamente gestito dalla Deputazione della Real Cappella del Tesoro, antica istituzione laica nata nel 1527. San Gennaro è titolare dell’unica chiesa cristiana che pur non dipendendo dal Vaticano, celebra messa secondo il rito cattolico di Santa Romana Chiesa. Aseguito della riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II, il calendario gregoriano apportò delle modifiche aggiungendovi alcune feste religiose, abolendone altre. Nel primo maggio vi inserì San Giuseppe lavoratore; tolse quella della Circoncisione che cadeva il primo dell’anno (ottavo giorno della nascita di Gesù!) e le tre date dedicate a San Gennaro che avvengono nei giorni dei miracoli contrassegnati dalla liquefazione del suo sangue: il sabato innanzi la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre. Nel 1964, l’anno in cui il Concilio Vaticano II ha ridotto quelle di San Gennaro a feste facoltative, i Napoletani si sono dispiaciuti troppoassai. Ma, subito dopo, ripensandoci, hanno reagito alla loro maniera: una bella mattina fanno trovare Napoli tappezzata di manifesti con l’effige del loro Santo Patrono ed una didascalia dal tono decisamente rincuorante che recitava: San Gennà, fùttete!
Nonostante l’affronto subito dal deliberato mandato romano la Cappella di San Gennaro ha continuato ad accogliere con benevolenza le statue dei cinquantatuno Compatroni di Napoli conservate nel calendario di Santa Romana Chiesa. Però tutte, obbligatoriamente, in lega d’argento. Oggi, per difetto del numero di latori, solo alcune delle quali partecipano alla canonica processione del sabato innanzi la prima domenica di maggio.
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Circa venti anni fa, osservando attentamente i luoghi ove risiedono il Patrono e i Compatroni di Napoli e la via percorsa dalla fantastica processione con le loro statue in lega d’argento, vi ho trovato uomini e fatti di epoca medievale connessi alla storia feudale di Montescaglioso e dintorni. E tra lo sfolgorio ostentato dai gonfaloni e dalle statue in metallo prezioso di quella processione ho avvertito l’assenza del compatrono San Rocco, il taumaturgo venerato non solo dai Napoletani ma anche da tante contrade della mia bella Lucania. Allora mi son sentito obbligato di chiedere all’Abate della Cappella, Don Vincenzo De Gregorio, spiegazioni sul motivo di quella assenza. Lui ha sostenuto che la statua di San Rocco avrebbe fatto parte del sacro consesso dei Compatroni di Napoli in processione con San Gennaro qualora gli avessi procurato i latori. Missione che è stata subito rispettata appena sono giunto a Montescaglioso. Ma solo tre anni fa i latori montesi mi hanno dato una risposta concreta.
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È stato emozionante vedere il gruppo di latori montesi sostare e attraversare luoghi di Napoli dalle elevate espressioni storiche ed artistiche che parlano ancora della medievale nostra storia patria. Il Duomo di Napoli nel quale è ubicata la Cappella di San Gennaro fu voluto da Carlo I° d’Angiò, nonno paterno di Beatrice, consorte di Bertrando, primo conte del Balzo di Montescaglioso; mentre il padre di Beatrice, Carlo II, nel 1305 fece eseguire da orafi francesi (Stefano Gadefroi, Guglielmo di Verdelay e Molet d’Auxerre) un busto-reliquiario in argento dorato per contenere la testa e altre reliquie del santo. (Il busto venne subito esposto alla pubblica venerazione ed è il medesimo che viene portato in processione il sabato innanzi la prima domenica di maggio). Qualche anno dopo, re Roberto, fratello di Beatrice, fece realizzare la teca in argento per custodire le due ampolle contenenti il sangue del Santo.
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La Cappella del Tesoro di San Gennaro è stata costruita agli inizi del secolo XVII dall’architetto teatino, Padre Francesco Grimaldi di Oppido Lucano; in cima all’artistico cancello della Cappella ideato e realizzato da Cosimo Fanzago, campeggia una dedica indirizzata dal popolo napoletano al suo Patrono, forse dettato dall’ingegnere materano Alessandro Ciminelli.
A San Gennaro, al Cittadino, protettore della Patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, il popolo partenopeo consacra.
Alla sinistra del Duomo, separata da una piazzetta, c’è la medievale chiesa di Santa Maria Donna Regina nella quale fa bella mostra di sé il monumento sepolcrale di Maria d’Ungheria, madre della suddetta Beatrice. Nel monumento la regina Maria viene rappresentata sotto un elegante palco funebre poggiante sopra una grande bara in marmo. Davanti alla quale sono effigiati sette dei suoi figli maschi, fratelli maggiori di Beatrice. L’opera venne ideata e realizzata nel 1326 dallo scultore Tino di Camaìno.
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La processione di San Gennaro percorre buona parte della storica via Spaccanapoli, così viene chiamato il Decumano inferiore del centro storico della città. Ai lati di esso vi sono artistiche chiese e grandiosi palazzi blasonati. A duecento metri dall’ingresso del decumano vi si giunge al palazzo gentilizio dei Carafa della Stadera, detto anche “del cavallo di bronzo”, dimora dei Principi di Colobraro, dei quali ricordiamo Domenico e suo figlio Francesco con le rispettive consorti, Eleonora de Cardenas, signora di Pisticci e Faustina Pignatelli, principessa di Tolve. Il palazzo dei principi di Colobraro confina con la minuscola piazzetta Nilo contraddistinta dall’omonima scultura in pietra portata a Napoli dagli Alessandrini, nel II s. a. C. forse per avere con loro un simbolo del sacro fiume egiziano. Dopo venti metri si giunge alla monumentale piazza San Domenico Maggiore che prende il nome dalla chiesa omonima, nei locali della stessa, tra il 1271 e il ’74, San Tommaso d’Aquino impartiva lezioni di teologia. Nella sacrestia della chiesa di San Domenico Maggiore è sepolto Bertrando del Balzo. La sua è posta fra le tombe di due fratelli di Beatrice: alla sinistra quella di Giovanni, conte di Gravina di Puglia, duca di Durazzo, nonno paterno di Carlo III; alla destra è quella di Filippo, principe di Taranto, padre della città Martina Franca. Guardando la chiesa, a sinistra della piazza è visibile il bel portale marmoreo del palazzo di Bertrando del Balzo, nel quale egli visse con Beatrice d’Angiò e, dopo la morte di lei (1329 ca.), con la seconda moglie, Margherita d’Aulnay (D’Alneto).Osservando ancora la chiesa, sulla destra della piazza si nota il magnifico palazzo rinascimentale dei Di Sangro nel quale il Principe madrigalista, Carlo Gesualdo da Venosa, fece sopprimere sua moglie, la bellissima Maria d’Avalos e il suo amante, Fabrizio Carafa, duca di Andria, colti in flagranza d’adulterio.
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Meta della processione è la gotica chiesa del Corpus Domini o di Santa Chiara, la quale fu voluta da Roberto d’Angiò, fratello di Beatrice e padre naturale della Fiammetta di Giovanni Boccaccio. Sull’altare maggiore risiede il superbo monumento a re Roberto sul quale si legge una epigrafe dettata da Francesco Petrarca “CERNITE ROBERTUM REGEM VIRTITE REFERTUM” (Guardate il re Roberto traboccante di energia). Entrando nella chiesa, la sesta cappella a sinistra esprime una selva di marmorei sarcofaghi rinascimentali fregiati da epitaffi in latino serrato dai toni aristocratici osannante l’eroismo, l’abnegazione, la nobiltà d’animo delle genti della famiglia Del Balzo le cui salme sono colà sepolte.
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A pochissimi metri dalla basilica di Santa Chiara è la monumentale chiesa del Gesù Nuovo. La quale si dice fondata dai Padri Gesuiti, ma in realtà costruita coi fondi della filantropia di ricche nobildonne cittadine e regnicole. Fra le quali risalta il nome di Isabella della Rovere, consorte di Nicola Bernardino Sanseverino, principe di Bisignano, conte di Saponara (Grumento) e di Tricarico; un altro nome corrisponde alla munifica Beatrice Orsini, la contessa che nel 1616 cedette il suo feudo di Montescaglioso a Paolo Grillo. (Paolo Grillo, sua moglie, suo figlio e sua nuora sono sepolti a Montescaglioso, nella chiesa dei Cappuccini)
Dopo aver fatto più volte riferimento a Beatrice d’Angiò del Balzo, è doveroso ricordarla con una sua nota biografica.
Beatrice è la tredicesima figlia di Carlo II lo Zoppo e di Maria d’Ungheria, nipote di Santa Elisabetta. Nasce nel 1292 ca. a Nocera Inferiore, in un castello nelle vicinanze dell’abbazia benedettina di Cava dei Tirreni (nel medesimo luogo nacque un fratello maggiore di Beatrice, San Ludovico da Tolosa). Tra gli undici e i tredici anni di età ella andò sposa all’anziano Azzo VIII d’Este il quale la dotò coi feudi di Acquaviva delle Fonti, Andria, Castel del Monte, Lendinara di Rovigo, Copparo e Migliaro di Ferrara e circa 10.000 fiorini.
Naturalmente il matrimonio di una figlia di re dotata dallo sposo doveva far discutere molto ai cronisti dell’epoca.
Dino Compagni (Firenze, 1255-1324) nelle sue Cronache fiorentine (III, 16) così commentò l’evento: Perché [Azzone VIII, duca di Ferrara] avea tolta per moglie la figliola di re Carlo di Puglia; e perché condiscendesse a dargliele, la comperò, oltre al comune uso e fecele di dota Modona e Reggio …
Anche Dante vi trovò adeguati spunti per i propri spiriti antiangioini; motivo per cui pose il padre della sposa nel XX canto del Purgatorio. (w 79 84)
L’altro, che già uscì preso di nave,
Veggio vender sua figlia, e patteggiarne,
Come fanno, i corsar, de l’altre schiave.
O avarizia, che puoi tu più farne,
Poscia c’hai il mio sangue, a te, sì tratto,
Che non si cura della propria carne?
Veramente Dante ce l’aveva con il padre di Beatrice anche perché lo riteneva responsabile della elezione di Bonifacio VIII al soglio pontificio dal quale, poi, nel ’97, aveva fortemente preteso la beatificazione di suo zio, Luigi IX, re dei Francesi, Santo Patrono dei Francescani.
Nel 1308, Beatrice sposa in seconde nozze Bertrando del Balzo il quale per questo matrimonio ottiene le contee di Squillace e di Montescaglioso. La cerimonia nuziale e i relativi festeggiamenti si svolsero nel Castel del Monte. Il regalo di nozze di papà Carlo d’Angiò fu la SacraSpina: una reliquia estratta dalla corona che avrebbe trafitto il capo di Cristo durante la dura ascesa al Calvario. (La Sacra Spina era stata portata dallo zio San Luigi IX di ritorno dalla settima Crociata contro gli infedeli). Oggi quel dono viene custodito nella Cattedrale di Andria vicino al sepolcro di Beatrice. La Sacra reliquia partecipa alla processione dei Misteri della Passione negli anni in cui il venerdì santo cade il 25 di marzo, il dì che festeggia l’Annuciazione. Cioè, quando il giorno del concepimento di Gesù coincide con quello della sua morte.
Pietro Andrisani