Quinto Orazio Flacco cantato a Montescaglioso

Nel 1993, durante le celebrazioni per il Bimillenario della morte di Quinto Orazio Flacco

(Venosa, 65 a.C.- Roma, 8 a.C.)

il Carmen saeculare musicato da François-André Philidor (Dreux, Eure-et-Loire, 1726-Londra, 1795), in forma di Cantata-Oratorio, venne rappresentato a Potenza e a Montescaglioso, rispettivamente il 27 e il 29 aprile.

I Soli (Regina MACIUTE, soprano; Ieva DAKSE. Mezzosoprano; Norbuts EGEL, tenore; Andris REPELIS, basso), il Coro e l'Orchestra LATVIJA di Riga (Lituania) furono diretti dal Maestro Silvano Frontalini. Il successo fu felice. La RAI Radiotelevisione Italiana della Sede Regionale dellaBasilicata curò la ripresa radiofonica e quella televisiva.

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CARMEN SAECULARE

Cantata-Oratorio

Ode(i) di

Quinto Orazio Flacco

musica di

François-André Philidor

revisione e commento critico-storico a cura di

Pietro Andrisani

POTENZA, Auditorio del Conservatorio Carlo Gesualdo da Venosa

martedì 27 aprile 1993

MONTESCAGLIOSO, Chiesa dell’Abbazia San Michele Arcangelo,

giovedì 29 aprile 1993

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Uno dei testi sacri che dovrebbe essere sempre in primo piano, alla portata di mano e di mente nella biblioteca del libero pensatore di ogni credo è, certamente, il Carmen saeculare di Quinto Orazio Flacco. Il tono liturgico e solenne, i contenuti di elevata espressione civile e morale di portata universale fanno di questo cantico un inno alla filosofia e alla teoria della gioia e della bellezza del mondo creato.

L’opera venne commissionata a Orazio dall’Imperatore Cesare Augusto (Roma, 23 settembre, 63 a.C.-Nola, 19 agosto, 14 d.C.), (e al medesimo dedicata) per magnificare i ludi romani del 17 a. C., stabiliti a fissare l’incipit, l’aurora della nuova era del mondo.

L’esecuzione corale venne affidata alle candide voci di ventisette fanciulle e di ventisette fanciulli per inaugurare e concludere le celebrazioni dell’avvenimento che vissero lo spazio di tre giorni e tre notti: ebbero inizio la sera del 31 di maggio e terminarono la sera del 3 di giugno, sotto la vigile organizzazione e guida dei Quindicemviri.

La prima notte fu trascorsa ottemperando ai riti di purificazione, il giorno seguente si attese alla solenne processione imperiale, ai sacrifici celebrati a Campo Marzio e ad una serie di giochi e di gare, incluse quelle dei gladiatori.

Nel secondo giorno si compì l’ascesa dell’ampia gradinata del Campidoglio per celebrare i sacrifici in onore di Giove Capitolino, di Apollo e di Diana; si svolsero, inoltre, altri giochi, si tennero, infine i lectisternia, ossia i banchetti in onore delle divinità citate.

Il terzo giorno, finalmente, si ebbe la facoltà di accedere al tempio di Apollo, sul Palatino, che Augusto aveva fatto edificare undici anni prima, per custodire i libri sibillini. Qui, ancora il coro delle ventisette fanciulle e dei ventisette fanciulli intonò il Carmen saeculare maggiore, forse, anche il minore.

In tempi relativamente moderni, dei carmi oraziani, sia in originale che parafrasati da abili poeti e ornati di note musicali da valenti compositori di ogni credo, il Carmen saeculare risulta essere stato il più vagheggiato dall’ammirazione universale.

Dall’alto del suo mandato liturgico, unitamente alla monumentalità dell’espressione poetica e religiosa ed al carattere misterico ed esoterico, esso ha sempre conferito alle celebrazioni di particolari ricorrenze o di eventi storici il crisma della sacralizzazione.

Nel 1902, sotto il governo di Giuseppe Zanardelli, i solenni festeggiamenti organizzati per celebrare il Natale di Roma, culminarono al Palatino il sette di maggio, con l’esecuzione dell’Inno saecolare musicato, per l’occasione, dal maceratese Emidio Cellini (1857-1920); nel 1927, abbigliato con musica solenne del M° Aldo Aytano inaugurò all’Augusteo, le celebrazioni del XXI aprile; la commemorazione romana del 1936 per il bimillenario del natale di Orazio, fu caratterizzata dalla spettacolare esecuzione avvenuta il 18 ottobre, a Villa Glori, del Carmen saeculare ridotto in versi toscani da Umberto Mancuso e messi in musica da Carlo Jachino (Sanremo, 1887-Napoli, 1971), direttore del conservatorio napoletano San Pietro a Maiella.

Giacomo Puccini (Lucca, 1858-Bruxelles, 1924), nel 1919, non ha fatto un buon servizio al Carmen saeculare mettendo in musica seducente una pessima traduzione di Fausto Salvatori (purtroppo è la versione più eseguita e più popolare). In quel 1919, il Carmen oraziano venne ribattezzato col nome Inno aRoma. Titolo calzante con le future teorie mussoliniane che aspiravano a romanizzare il nuovo corso della storia d’Italia. Infatti, qualche anno dopo, la versione pucciniana del Carmen sæculare divenne colonna sonora che commentava le manifestazioni di piazza nelle quali si esibivano i tribuni del novello fascio Littorio. Di solito, prima dell’intonazione dell’inno oraziano, il gerarca di turno, dal palco o da un balcone, tuonava:

Roma e voi.

L’Urbe d’Augusto rievocata.

Il Carmen saeculare di Orazio restituito alla gioventù italiana.”

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George Bizet (Parigi,1838-Bugival, 1875), l’autore della Carmen, nel 1860, l’ultimo dei tre anni trascorsi a Villa Medici al Pincio per aver vinto il Prix de Rome dell’Académie des Beaux-Arts di Parigi, contravvenendo alle rigide disposizioni volute dalle direttive del bando di concorso dell’Accademia premiante, decise di rivestire di note musicali il Carmen di Orazio, invece che il testo dell’Ordinario, ossia della Messa.

Musicista dal temperamento vivace e allo stesso tempo meditativo, egli che aveva il culto delle discipline libertarie, ecco come si esprime, a tale proposito in un passo di una lettera inviata da Roma, a sua madre, proprio nel 1860:

  • […] non voglio comporre una messa prima di essere in condizioni tali da farlo bene, e cioè, in uno stato d’animo di vero cristiano

  • Ho quindi scelto una via insolita per conciliare le mie idee con le esigenze del regolamento accademico.

  • Vogliono qualcosa di religioso: benissimo, farò qualcosa di religioso, ma della religione pagana. Il meraviglioso Carmen saeculare di Orazio mi tenta da parecchio tempo […] dal punto di vista letterario e poetico è più bello del testo della messa. È poesia latina, non prosa, e tanto più scandito, più ritmico, più musicale.

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François-André Philidor (Dreux, Eure-et-Loire, 1726-Londra, 1795), amico e collaboratore del materano Egidio Romualdo Duni (Matera,1709-Parigi, 1775), nel corso di uno dei suoi viaggi da Parigi a Londra, città dove gli era più facile incontrarsi con degni compagni di scacchi ed ascoltare gli oratori di George Frederyck Haendel (Halle, 1685 - Londra, 1759). incontrò una sua vecchia conoscenza, un esule italiano in Francia, lo scrittore torinese Giuseppe Baretti (Torino, 1716 Londra, 1789), l'autore del noto giornale La Frusta letteraria.

Gli studiosi del ramo sostengono che in queste attraversate marine il Philidor apprese dal Baretti, l’idea di musicare una Cantata su testo di Orazio da eseguire per l’inaugurazione di una Loggia massonica londinese le cui colonne venivano innalzate principalmente da maggiorenti di casa reale. Ma potrebbe darsi che il Musicista francese sia stato contattato direttamente dal duca di Cumberland, uno dei committenti dell’opera, al quale trent’anni prima, nel 1749, gli aveva dedicato il suo noto libro ispirato al gioco degli scacchi.

La loggia in questione era, nientemeno, la Freemasons’ Hall, massimo tempio dell’ordine muratorio mondiale, la quale, probabilmente, mediante la ieratica ode di Orazio, voleva stabilire un rapporto di affinità o, addirittura di continuità con il tempio di Apollo sul Palatino.

Fra i committenti del lavoro oraziano c’erano due fratelli di Giorgio III d’Inghilterra: William Henry, duca di Edimburgo ed Henry Frederyck, duca di Cumberland, entrambi appassionati cultori di poesia classica e di musica (uno suonava il violoncello, l’altro il violino).

Alberto Basso, attento studioso del ramo, afferma che allora Orazio rappresentava per la Massoneria il campione del classicismo allo stato puro, il vaso perfetto nel quale si erano raccolti gli umori della poesia fatta pittura [e architettura] insieme con le delizie dell’otium [tempo libero, obby] contemplativo e di quell’equilibrio morale che poteva procurare gioia, sapienza, saggezza ma che ora sembrava indicare la strada verso la riconquista dell’antico.

L’opera di Orazio e Philidor - continua Alberto Basso - si riproponeva come un meraviglioso ritratto dell’aurea età in cui tutto appare regolato dalla bellezza, dalla gravitas, [vigoria di profondi pensieri] dalla compostezza e dai miracolosi doni della disciplina, [materia di educazione, norma, modo di vivere] e come una testimonianza di ritorno alla musica dei padri.

Dopo pochi mesi la partitura della Cantata-oratorio era bella e pronta.

La prima rappresentazione mondiale dell’opera di Orazio e di Philidor avvenne, dunque, nel tempio della Freemasons’ Hall, il 26 febbraio del 1779, alla presenza di una attenta adunanza di fratelli di ogni parte d’Europa.

I soli, il coro e l’orchestra furono diretti dal fratello William Cramer (1746-1799).

Il diarista e musicologo inglese, Charles Burney (1726-1814), amico e stimatore di musicisti napoletani e del medico e botanico Domenico Cirillo (Grumo Nevano, Napoli, 1739 - Napoli, 1799), il quale era stato presente all’inaugurazione della Loggia in oggetto e, quindi, all’esecuzione del Carmen di Orazio e Philidor, dirà che l’opera venne ammirata e sostenuta da tutte le persone di cultura con la segreta speranza di assistere ad una rinascita della poesia e della musica degli antichi, arti pervase di profonda dottrina e di prodigiosi poteri religiosi, quindi, in consonanza con i fini di quella libera muratoria spiritualmente tesa verso il pensiero degli arcana mundi.

La rappresentazione dell’imponente Cantata-Oratorio di Orazio e Philidor doveva segnare un periodo di splendore per le sorti della muratoria europea e lasciare ai posteri il ricordo della grande importanza intellettuale, artistica e morale.

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Undici mesi dopo, sotto il venerabilato di Benjamin Franklin (1706-1799) e confortati dalla direzione musicale del napoletano, Nicola Piccinni (Bari, 1728 - Parigi, 1800), i latomisti francesi de Les Neuf Seurs (le Nove Sorelle) e de La Olympique vollero ripetere la bella esperienza della Freemasons’ Hall. Il superbo lavoro oraziano e philidoriano, questa volta nella versione francese operata negli anni venti da Noel-Etienne Sanadon (1676-1733), venne rappresentato a Parigi, nella Sala Svizzera del Palais des Tuileries, il 19 gennaio del 1780.

Alla solenne esecuzione vi presero parte due fra i più celebrati cantanti europei dell’epoca, il soprano Saint-Huberty, cioè, Antoinette-Cécile Clavel (1756-1812) e il tenore Louis-Augustin Richer (1740-1819).

Per otto anni l’opera venne riproposta ininterrottamente negli auditorï e nei teatri di Parigi, specie al Concert Spirituel.

Il 30 di maggio del 1788, dopo essere stata eseguita a Roma, alla corte di papa Pio VI (al secolo Giannangelo Braschi, Cesena, 1717-Valencia, Delfinato,1799) e a Berlino, nella reggia di Federico il Grande, affezionato compagno nei tornei di scacchi del Philidor, la Cantata veniva riproposta a Londra per conto dei Cavalieri del Molto Onorevole Ordine del Bagno.

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Nel medesimo anno l’opera viene stampata a Parigi dal cantante, libraio ed editore Lawalle L’Ecuyer e, su consiglio di calcolato opportunismo del barone Friedricch Melchior Grimm (1723-1807), sorretto dalla mediazione dell’insinuante abate napoletano Ferdinando Galiani (1728-1787), Fraçois-André Philidor ne sottoscrive la dedica alla zarina Caterina II (Stettino,1729 Pietroburgo, 1796), ancora amica dei Massoni o Martinisti, com’erano chiamati da quelle parti, allora, i Liberi Muratori. La dedica doveva sortire un grande valore politico perché in quell’epoca, la zarina andava sempre più convincendosi che il libero pensiero della Muratoria europea poteva attentare alla sua politica di decisa impronta assolutista.

Sarà bene ricordare che in quegli anni, l’illuminismo appare in tutta la sua forza anche all’orizzonte dell’impero russo: gli ideali di questo movimento non concordano più con lo spirito dispotico della sovrana, preoccupandola.

Caterina, pienamente cosciente dei pericoli che potessero arrecare al suo potere i nuovi ideali libertari ne è inquieta; addirittura terrorizzata quando viene a conoscenza che un suo cuoco siede accanto ad un dignitario di corte, Vladmir (?) Elaghin in una officina martinista, sconvolgendo il ruolo delle gerarchie e le vecchie tradizioni aristocratiche di deciso stampo feudale.

L’anno dopo della dedica del Philidor, con lo scoppio della Rivoluzione francese, ella sfoga tutta la sua rabbia in una delle lettere al Barone Grimm, dicendo, fra l’altro:

Bisogna assolutamente sterminare perfino il nome dei Francesi! L’eguaglianza è un mostro che pretende addirittura di regnare!

Il Francese non poteva trovare un momento più propizio per offrire questo grandioso affresco poetico e sonoro all’intraprendente e sospettosa zarina, o Semiramide del Nord, come la chiamava Voltaire. Infatti la firma della dedica cade nell’anno in cui a Pietroburgo si festeggiano il decimo compleanno del futuro zarevic Alessandro II (Pietroburgo,1777 – Taganrog, 1825) ed una decisiva vittoria riportata dall’esercito russo sugli Ottomani, dopo una estenuante guerra, occupando, definitivamente, la Crimea o la Tauride, come Caterina desiderava che venisse chiamata la nuova conquista.

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Con mirate finalità non solo di ordine diplomatico, il Philidor, in questa offerta, vuole evidenziare le affinità elettive dei due imperatori, Cesare Augusto e Caterina II e, nel medesimo tempo, egli diviene l’Orazio della musica.

Sul frontespizio della partitura infatti fa bella mostra di sé un concettoso disegno ammiccante un emblematico portale di un tempio martinista ornato con caratteri di schietta impronta bodoniana.

CarmensaeculareFig copia

Autore del disegno è il parmigiano Pietro Antonio Martini (1738-1797), ricordato anche come uno dei più efficaci disegnatori delle pregiate edizioni librarie di Giambattista Bodoni (Saluzzo,1740-Parma,1813).

Nei tre medaglioni disegnati sul frontone della tavola sono raffigurati, da sinistra a destra, i busti di Orazio, con un ramoscello d’ulivo, quello della zarina sotto l’aquila a due teste e la corona imperiale, il terzo è quello di Philidor, chiomato alla moda francese dell’epoca.

Nei due rettangoli che sorreggono il ritratto del poeta e quello del musicista sono incisi rispettivamente, i versi 29-30 e 43-44 del cosiddetto carmen saeculare minore, cioè, la sesta ode del IV libro.

Il testo recita:

Spiritum Phaebus mihi artem / carminis nomenque dedit poetae

(Febo mi ispira, Febo l’arte a me dona dei carmi e il nome di poeta)

e Redditi carmen docilis modorum / vatis Horatis

(Cantai i dolci metri del vate Orazio),

nel cartiglio che avvolge l’effige della zarina sono vergati i versi 55-56 del Carmen saeculare maggiore:

Iam Scytae responsa petunt superbi nuper

(E già gli Sciti e gli Indi, ora, non più superbi, attendono responsi).

Al centro del frontespizio, unitamente alla dedica, c’è il titolo dell’opera, con i nomi degli autori e l’anno di edizione.

Katarinae / Aug. Piae. Felici / Ottomannicae. Tauricae / Musagetae / Q. Horatii. Flacci / Carmen. Saeculare / Lyrici.Concentibus Restitutum A.D. Philidor. D.D.D. / A.C. MDCCLXXXVIII.

Sotto i due rettangoli marmorei, sono raffigurati Diana lunare e Apollo solare (quest’ultimo, visto allo specchio dell’Apollo del Belvedere), entrambi recanti, in spalla, la farètra: inoltre, la dea della caccia con a fianco un cerbiatto rampante, Febo, il più bello dei numi, rappresentato col serpente Pitone che sale strisciando sulla ruvida corteccia di un ceppo.

Nel basamento, Apollo, alla guida del carro tirato da una quadriglia di cavalli bianchi, porta il Sole per le vie del mondo celeste.

La didascalia del particolare è indicata dall’invocazione dei versi 9-12 del Carmen saeculare maggiore: Alme Sol, curru nitido diem qui / promis et celas aliusque et idem / nasceris, possis nihil urbe Roma / visere majus. Almo Sole, che sul brillante carro porti e ci togli il giorno e vario e uguale nasci, di Roma nulla mai il tuo raggio veda più grande)

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L’opera, che ha per sottotitolo Polymetrum Saturnium in Ludos Saeculares, inizia con un prologo declamato dal Poeta (tenore) col quale egli propone la dignità dell’argomento e dispone gli animi all’ascolto:

Odi profanum volgus et arceo / favete linguis; carmina non prius

audita Musarum sacerdos / virginub puerisque canto.

Odio il volgo profano e ne rifuggo:

un silenzio augurale tenga gli animi;

alle vergini canto e ai giovanetti

io, sacerdote delle Muse, un canto nuovo.

L’intero testo della Cantata comprende la prima ed emblematica quartina della ode I^ del III libro, l’ode VI del IV libro ed il Carmen saeculare maggiore. Quindi, il titolo del libretto è in netto contrasto con il principio che aveva fatto dell’Inno secolare un canto indipendente e svincolato dai canonici quattro libri di odi del poeta venosino.

(Una tradizione del Settecento europeo vuole due Carmen saeculare oraziani congiunti: il canonico Phoebe silvarumque potens Diana (Febo e signora delle selve Diana), detto il maggiore e Dive, quem proles Niobea magnae, (Nume di cui senti la gran potenza) detto il minore).

La prima operazione, in tal senso, cioè, la prima volta che col titolo Carmen saeculare si voleva indicare le due odi citate insieme, aveva avuto origine in Francia, nel 1728, quando il già ricordato poeta saggista Noël-Etienne Sanadon, pubblicava l’opera omnia oraziana tradotta in francese, anteponendovi una documentata biografia del Venosino ed un commento esaustivo al carme.

Nelle note critiche, lo studioso francese, faceva osservare che al canonico Carmen saeculare fosse strettamente connessa, appunto, la sesta ode del libro IV, perché anche essa è intesa a celebrare i ludi saeculares del 17 a.C.

Nello stesso secolo, anche in Italia le due edizioni veneziane del 1746 e del ’72 di Francesco Borgianelli e del 1782 di Stefano Pallavicini sono orientate in tal modo.

In Italia, specie nel Sud e nell’isola maggiore, ovunque si studiasse Orazio, lì si viveva un clima felicemente pensante, lì c’era erudizione e scientismo di uomini con la mente tesa verso ideali libertari: a Venezia, a Napoli e a Vienna, Apostolo Zeno (Venezia, 1668-ivi, 1750), prima e Pietro Metastasio (Roma, 1698-Vienna, 1782), dopo, culminavano questi intendimenti interpolando i loro libretti di drammi per musica con significative citazioni, rivelanti lo squisito buon senso, le acute osservazioni con cui il poeta lucano coglieva la saggezza comune della vita umana.

In quel 700, anche i lirici inglesi, soprattutto John Dryden (1631-1700) e Alexander Pope (1688-1744), facevano rivivere nei loro versi, detti, giudizi appassionati, spontanei o arguti attinti all’opera oraziana, in generale, ed in particolar modo, ai due Carmen saeculare.

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L'Opera di Orazio e Philidor, unica nel suo genere per la scelta del soggetto, anticipa, per forma e contenuti la Cantata scenica dei Rossini, dei Donizetti. (Nel 1859, per i festeggiamenti per la salita al trono e per le nozze di Francesco II di Borbone con Maria Sofia di Baviera, il lucano Nicola Sole compone una cantata in quella forma su soggetto mitologico dal titolo La Danza Augurale. Sottotitolo “Il Glauco”. Saverio Mercadante vi compose la musica).

Scritta per soli, coro e orchestra, il Carmen sæculare philidoriano comprende quattro partis precedute da un prologus che, a sua volta segue una maestosa ouverture.

Pervasa da fulgente vitalità la partitura philidoriana palesa una ricchezza di idee tematiche, una concezione architettonica ampia e robusta costituita sulla base della ricercatezza di linee cantabili e di una ingegnosa elaborazione contrappuntistica del corale e del concertato. La vocazione drammatica si rivela innanzitutto nei recitativi che quasi sempre si convertono in ariosi assai intensi. La tipologia delle arie è varia, l'andamento melodico elegante, lo stile elevato. L'eloquenza del coro, sia nei passi di sonorità robuste, sia negli interventi di sommessa delicatezza, accentua e sillaba diligentemente il testo oraziano rivelando una vigile lettura ritmica e psicologico-affettiva. L'orchestra, oltre ad offrire un proficuo supporto armonico alle parti vocali, ne sottolinea e ne commenta la natura solenne ed educativa, le eccezionali invocazioni religiose ed evidenzia, infine, la sintesi stilistica del musicista che abilmente fonde in un unico corpo sonoro voci e strumenti, sapienza e godimento spirituale.

Pietro Andrisani

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CaemensaeculareFig4 copia

 

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